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dunche necessario misurare bene le condizioni sue e de-
gli altri, né si lasciare portare da maggiore opinione che
si convenga. Questo io lo conosco bene; non so poi co-
me saprò usarlo, né se cadrò nello errore quasi commu-
ne di presummere più che el debito. Ma non serva però
questo ricordo a avvilirsi tanto che, come Francesco
Vettori, si diano al primo che le dimanda.
B 166 [A 142]. È grandissimo peso in Firenze avere
figliuole femmine, perché con grandissima difficultà si col-
locano bene. E a non errare nel pigliarne partito bisogne-
rebbe misurare molto bene sé e la natura delle cose: il che
diminuirebbe la difficultà, la quale spesso accresce el pre-
summersi troppo di sé o discorrere male la natura del caso.
E io ho veduto molte volte padri savî recusare nel principio
de parentadi, che poi in ultimo hanno invano desiderati.
Né per questo anche debbe l uomo avilirsi in modo che, co-
me Francesco Vettori, si diano al primo che le dimanda. E
cosa in effetto che, oltre alla sorte, ricerca prudenza grande:
e io conosco più quello che bisognerebbe che non so come,
quando verrò alla pratica, saprò governarla.
Letteratura italiana Einaudi 52
Francesco Guicciardini - Ricordi
107. È da desiderare non nascere suddito; e, pure
avendo a essere, è meglio essere di principe che di repu-
blica: perché la republica deprime tutti e sudditi e non
fa parte alcuna della sua grandezza se non a suoi citta-
dini; el principe è più commune a tutti e ha equalmente
per suddito l uno come l altro; però ognuno può sperare
di essere e beneficato e adoperato da lui.
108. Non è uomo sì savio che non pigli qualche vol-
ta degli errori. Ma la buona sorte degli uomini consiste
in questo: abattersi a pigliargli minori o in cose che non
importino molto.
B 152 [A 128]. Ognuno, e sia chi si vuole, fa in que-
sto mondo degli errori, da quali nasce maggiore o minore
danno, secondo li accidenti e casi che ne seguitano. Ma buo-
na sorte hanno quelli che si abbattono a errare in cose di mi-
nore importanza o dalle quali ne séguita minore disordine.
109. Non è el frutto delle libertà, né el fine al quale
le furono trovate, che ognuno governi (perché non deb-
be governare se non chi è atto e lo merita), ma la os-
servanza delle buone legge e buoni ordini , le quali sono
più sicure nel vivere libero che sotto la potestà di uno o
pochi. E questo è lo inganno che fa tanto travagliare la
città nostra, perché non basta agli uomini essere liberi e
sicuri, ma non si fermano se ancora non governano.
B 143 [A 119]. La libertà delle republiche è mini-
stra della giustizia, perché non è ordinata a altro fine che
per difensione che l uno non sia oppresso dall altro: però
chi potessi essere sicuro che in uno stato di uno o di pochi si
osservassi la giustizia, non arebbe causa di desiderare molto
la libertà. E questa è la ragione che gli antichi savî e filosofi
non laudorono più che gli altri e governi liberi, ma preposo-
no quelli ne quali era meglio provisto alla conservazione
delle legge e della giustizia.
Letteratura italiana Einaudi 53
Francesco Guicciardini - Ricordi
110. Quanto si ingannono coloro che a ogni parola
allegano e Romani! Bisognerebbe avere una città condi-
zionata come era loro, e poi governarsi secondo quello
essemplo: el quale a chi ha le qualità disproporzionate è
tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno
asino facessi el corso di uno cavallo.
111. E vulgari riprendono e iurisconsulti per la va-
rietà delle opinione che sono tra loro: e non considerano
che la non procede da difetto degli uomini, ma dalla na-
tura della cosa in sé, la quale non sendo possibile che
abbia compreso con regole generali tutti e casi par-
ticulari, spesso e casi non si truovano decisi a punto dal-
la legge, ma bisogna conietturarli con le opinione degli
uomini, le quali non sono tutte a uno modo. Vediamo el
medesimo ne medici, ne filosofi, ne giudici mercantili,
ne discorsi di quelli che governano lo stato, tra quali
non è manco varietà di giudicio che sia tra legisti.
112. Diceva messer Antonio da Venafra, e diceva
bene: «Metti sei o otto savî insieme, diventano tanti paz-
zi»; perché, non si accordando, mettono le cose più pre-
sto in disputa che in resoluzione.
113. Erra chi crede che la legge rimetta mai cosa
alcuna in arbitrio  cioè in libera voluntà  del giudice,
perché la non lo fa mai padrone di dare e tôrre: ma per-
ché sono alcuni casi che è stato impossibile che la legge
determini con regola certa, gli rimette in arbitrio del
giudice, cioè che el giudice, considerate le circunstanze
e qualità tutte del caso, ne determini quello che gli pare
secondo la sinderesi e conscienza sua. Di che nasce che,
benché el giudice non possa della sentenza sua starne a
sindicato degli uomini, ne ha a stare a sindicato di Dio,
el quale conosce se gli ha o giudicato o donato.
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Francesco Guicciardini - Ricordi
B 68 [A 43]. Erra chi crede che e casi rimessi dalla
legge a arbitrio del giudice siano rimessi a sua voluntà e a
suo beneplacito, perché la legge non gli ha voluto dare pote-
stà di farne grazia: ma, non potendo in tutti e casi particula-
ri, per la diversità delle circunstanze, dare precisa determi-
nazione, si rimette per necessità allo arbitrio del giudice,
cioè alla sua sinderesi, alla sua conscienza, che, considerato
tutto, faccia quello che gli pare più giusto. E questa larghez-
za della legge lo assolve d averne a dare conto pe palazzi 
perché, non avendo el caso determinato, si può sempre
escusare  ma non gli dà già facultà di fare dono della roba
di altri.
114. Sono alcuni che sopra le cose che occorrono
fanno in scriptis discorsi del futuro, e quali, quando so-
no fatti da chi sa, paiono a chi gli legge molto belli; non-
dimeno sono fallacissimi, perché, dependendo di mano
in mano l una conclusione dall altra, una che ne manchi,
riescono vane tutte quelle che se ne deducono; e ogni
minimo particulare che varii è atto a fare varîare una
conclusione. Però non si possono giudicare le cose del
mondo sì da discosto, ma bisogna giudicarle e resolverle
giornata per giornata.
115. Truovo in certi quadernacci scritti insino nel
1457, che uno savio cittadino disse già: «O Firenze di-
sfarà el Monte o el Monte disfarà Firenze». Considerò
benissimo essere necessario o che la città gli togliessi la
riputazione o che farebbe tanta multiplicazione che sa-
rebbe impossibile reggerla. Ma questa materia, innanzi
partorissi el disordine, ha avuto più vita e in effetto el
moto suo più lento che lui forse non immaginò.
116. Chi governa gli stati non si spaventi per e
pericoli che si mostrono, ancora che paino grandi, pro-
pinqui e quasi in essere, perché, come dice el proverbio,
non è sì brutto el diavolo come si dipigne. Spesso per
varî accidenti e pericoli si risolvono, e quando pure e
mali vengono, vi si truova drento qualche rimedio e
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Francesco Guicciardini - Ricordi
qualche alleggerimento, più che non si immaginava. E
questo ricordo consideratelo bene, ché tuttodì viene in
fatto.
117. È fallacissimo el giudicare per gli essempli,
perché, se non sono simili in tutto e per tutto, non
servono, conciosia che ogni minima varietà nel caso può
essere causa di grandissima variazione nello effetto: e el
discernere queste varietà, quando sono piccole, vuole
buono e perspicace occhio.
118. A chi stima l onore assai succede ogni cosa,
perché non cura fatiche, non pericoli, non danari. Io
l ho provato in me medesimo, però lo posso dire e scri- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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