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Volò via l automobile, con due militi appesi fuori,
uno da una parte, uno dall altra, e gli uomini delle pat-
tuglie ch erano sul bastione tra Monforte e Porta Vitto-
ria la videro venire avanti di pattuglia in pattuglia, senti-
rono l uno o l altro dei militi che gridava: «Passata una
macchina cosí e cosí? Hanno ammazzato un ufficiale te-
desco e scappano. Tutti a Porta Romana».
XLVIII. Davanti all edificio della Corridoni erano
ferme, lungo l opposto marciapiede, quattro o cinque
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automobili, e una decina di militi, metà di loro autisti,
stavano in cappotto sull ingresso.
Di là dalla vetrata chiusa, nella sala del corpo di guar-
dia, cinque o sei ragazzi biondi in uniforme nera vocia-
vano tra loro lietamente, e un milite che sedeva dietro
un tavolo sembrava beato di ascoltarli, vedere com era-
no graziosi nei loro movimenti, sentire com era armo-
nioso il tedesco in bocca loro. Essi mangiavano tavolette
di cioccolato, solo uno non ne mangiava, stava in dispar-
te, appoggiato al muro e serio nel volto, e un altro, di
statura il piú piccolo, e il piú chiassoso, il piú biondo,
tondo nel sedere, andava continuamente da lui con una
nuova tavoletta di cioccolato, gliela offriva e, come quel-
lo scuoteva il capo rifiutando, tornava indietro nel grup-
po e diceva qualcosa per cui tutti ridevano, mangiava il
cioccolato lui in mezzo al gran ridere di tutti.
Il milite dietro il tavolo, quasi un vecchio coi capelli
bianchi alle tempie, rideva sempre insieme a loro. Ma
solo lui dei militi stava dietro a loro, era incantato di lo-
ro; gli altri, un paio con la testa da morto della Muti sul
basco nero, e tre nel grigioverde della G.N.R., seguivano
invece quello che accadeva tra un settimo milite, un te-
desco in casco, e un cane.
Il cane aveva un testone da bestia dei boschi, nero e
bianco di pelo, e sembrava fosse del tedesco che, seduto
su una panca e appoggiato coi gomiti sulle cosce, piega-
to in avanti, si passava dal cavo di una mano nel cavo
dell altra una lunga catenella di metallo. Il tedesco era
un uomo anziano, il milite era pure un uomo anziano, e
il milite mangiava pane e formaggio, aveva cominciato a
gettare piccoli pezzi di pane all enorme cane.
Ma il cane non mangiava il pane, lo annusava e lo la-
sciava in terra.
«Perché?» il milite diceva. «Perché non lo mangia?
Non lo mangia».
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Continuava a gettargli piccoli pezzi di pane, e il cane
li annusava tutti, li lasciava tutti in terra. C erano già ot-
to o nove piccoli pezzi di pane in terra, tra il tedesco e il
milite.
«Perché?» il milite diceva. «Non mangia il pane. Per-
ché non lo mangia?»
Gettò al cane un piccolissimo pezzo di formaggio, e il
cane lo annusò, e anche mugolò annusandolo, ma lo la-
sciò in terra.
«O che?» il milite disse. «Nemmeno il formaggio
mangia?»
Egli alzò gli occhi sugli altri che stavano intorno a
guardare.
«Perché non lo mangia?» disse.
E gettò al cane un pezzo meno piccolo di formaggio.
«Perché?» chiese al tedesco.
«Warum?» suggerí uno dei due con la testa di morto.
«Warum?» chiese al tedesco il milite.
XLIX. Il tedesco aveva una faccia grigia sotto al ca-
sco, allungò fino a terra la mano, prese il piú vicino dei
pezzi di pane e lo posò sopra il naso del cane.
«Ein, zwei, drei, vier, fünf» disse.
Al fünf il cane scosse il capo, lanciò per aria il piccolo
pezzo di pane posato sopra il suo muso, e lo afferrò, lo
ingoiò, poi rimase a guardare.
«Oh!» il milite esclamò. E chiese: «Posso farlo io?».
Raccolse da terra il meno piccolo dei due pezzetti di
formaggio che già aveva dati al cane, timidamente lo po-
sò sopra il naso del. cane, e cominciò a ripetere: «Ai, vai,
drai...»
S interruppe. «E poi?»
Il tedesco, grigio in faccia, tolse di sopra al muso del
cane il pezzo di formaggio, sollevò una mano verso il mi-
lite e contò sulle cinque dita.
«Ein, zwei, drei, vier, fünf».
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Disse al milite: «Contare. Contare con io».
«Sí» disse il milite. «Ja» disse.
E il tedesco disse, toccando il pollice: «Ein».
«Ai» disse il milite.
«Ein, ein» disse il tedesco.
«Ja» disse il milite. «Ain».
Il tedesco si toccò l indice. «Zwei».
«Vai» disse il milite.
«Zwei» il tedesco disse. «Z-wei».
«Zivai» disse il milite.
«Drei» disse il tedesco.
«Drai» disse il milite.
«Vier» disse il tedesco.
«Fir», disse il milite.
«Fünf» disse il tedesco.
«Filuff» disse il milite.
«Fünf, fünf» il tedesco disse.
E ricontò su tutte le dita: «Ein, zwei, drei, vier, fünf».
Il milite non ricontò. «Ho capito» disse. «Ja. Ho capi-
to».
Il tedesco gli diede il pezzetto di formaggio che aveva
in mano. «Versuch s einmal» gli disse. «Provare tu».
Il milite guardò in su gli altri intorno, era raggiante, e
posò il pezzetto di formaggio sopra il muso del cane.
«Ai» disse. «Ain, zivai, drai, fir, fiuff».
L. Nella grande sala del primo piano si stavano sce-
gliendo, sopra una lista di trecento nomi, quaranta no-
minativi di uomini da tirar fuori di cella quella stessa
notte, condurre in due camion all Arena, mettere contro
un muro e fucilare. Senza interrogatorio, senza difesa,
senza nemmeno una concreta accusa, sulla base sempli-
cemente di carte fornite dagli ufficiali di polizia, uno dei
quali era il capitano Clemm dell albergo Regina, si stava
decidendo di toglier la vita a quaranta su trecento uomi-
ni vivi di cui non si avevano davanti che i nomi scritti
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sulle carte, non occhi, non facce, non loro stessi uomini
vivi, e nessuno, giú nel corpo di guardia, né biondo ra-
gazzo tedesco, né giovane o vecchio milite italiano, pen-
sava un momento a quello che la riunione del primo pia-
no significava, e al significato che tra poco avrebbe
avuto in San Vittore, poi sopra un camion lanciato attra-
verso la notte della città deserta, infine sul grigio terreno
dove un tempo balzava verso il cielo la felice palla delle
partite di calcio, all Arena.
Quei ragazzi biondi erano occupati completamente
dalle loro tavolette di cioccolato, il milite dietro al tavolo
era occupato completamente da quei ragazzi biondi, i
militi intorno al cane erano completamente occupati dal
cane, eppure la cosa che accadeva di sopra accadeva per
via di loro, e mai avrebbe potuto accadere se tutti loro
non fossero stati lí a mangiar cioccolato e giocare con un
cane.
Il cane non scosse il capo, non lanciò in aria e ingoiò,
al fiuff del milite, il pezzetto di formaggio posato sopra il
suo muso; continuò paziente a guardare, mugolava
guardando, e persino il tedesco sorrise nella sua faccia
grigia mentre gli altri scoppiavano in una grande risata.
I ragazzi biondi, a quella risata di tante persone, si
voltarono, ma continuarono il gioco loro. Avevano fini-
to di mangiare le tavolette di cioccolato, ma dentro le ta-
volette di cioccolato avevano trovato delle figurine, e
ora guardavano le figurine, se le contendevano, rideva-
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