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na venga da te per questa faccenda, mandala da me. Per-
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ché a te fanno quel che vogliono. Io ti ho già capito da
un pezzo. Son tutti più furbi di te. Tu sei un imbecille.
E rise dello stupore che appariva nel viso di Remigio;
che non avrebbe osato rispondergli male. Poi disse:
Ora, vattene: ho da fare per cose molto più impor-
tanti della tua, che mi fanno guadagnare bene.
Era vero! Egli non avrebbe avuto da dargli né meno
cento lire, e il Neretti pensava a quanto era necessario
per la carta bollata e per gli atti al tribunale. La carta
bollata, ormai, doveva essere già parecchia! Chi sa
quante volte Giangio aveva segnato le spese, con quelle
sue lettere tremolanti e grosse!
Il Neretti, vedendo che Remigio se ne andava malvo-
lentieri, gli disse:
Mio caro! Io ti consiglio per il tuo bene! Poi, del re-
sto, tu sei padrone di fare quello che vuoi.
Ma, appunto, io voglio farmi consigliare da te.
Da me? E che ti devo dire? Credi da vero che la Cap-
puccini non debba avere quei denari? E, allora, si tira per
le lunghe; può darsi che, alla fine, si stanchi. Ma, con il
gratuito patrocinio, lei non ci rimetterà mai niente. Or-
mai, a dietro non si torna. Lascia fare a me: vedrai che, tra
quattro o cinque mesi, siamo sempre allo stesso punto.
Ora, vattene! T ho già fatto capire che mi dai noia.
Quando devo tornare?
Quando vuoi: tanto io che Giangio siamo sempre
qui a tua disposizione.
Ora verrà anche la querela di quel sensale che chia-
mano, mi pare, Chiocciolino.
Lasciala venire! Portamela subito.
Remigio gli strinse la mano, sorridendo egli stesso del
proprio imbarazzo. Quando fu fuori, gli restò a mente sol-
tanto che il Neretti gli aveva detto imbecille; e doventava
rosso come se quella parola gli bruciasse anche il viso.
In fondo alla Costarella, Chiocciolino, che parlava a
una fruttaiola grassa e con le braccine di bambola come
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il volto, gli andò dietro mettendogli una mano su la spal-
la. Remigio s era accorto che gli voleva parlare, ma ora
non poté fare a meno di voltarsi benché non gli dicesse
niente. Allora Chiocciolino si mise il bastone nella sini-
stra, lo prese sotto il braccio e gli disse:
L accompagno un poco, se va giù alla Casuccia.
Dianzi, l ho visto entrare dall avvocato Neretti.
Remigio si tirava in disparte, ma l altro lo teneva forte
sorridendo a vedere quella sua ritrosìa. E gli disse:
Non si vergogna mica a venire con me? È arrabbia-
to perché ho fatto da testimonio al processo?
A me non importa niente.
Non ci credo: non mi pare. Ma, appunto, io volevo
parlare della mia faccenda che si potrebbe accomodare
così tra noi, alla buona.
Ma perché voi avete fatto da testimonio?
È venuta a trovarmi quella disgraziata (come si chia-
ma?) Giulia; e io siccome sapevo tutto da suo padre...
Non ho fatto bene? La verità c è anche per quelli che so-
no nati poveri. E poi, quelle ottomila lire sono soltanto
un bocconcino, della sua Casuccia.
Ma io sono convinto che mio padre non doveva dar-
le niente. Voi sapete perché io non stavo in casa con lui?
Me l hanno detto a un dipresso: ma queste son cose
che io non voglio sapere perché non mi riguardano.
La Cappuccini m ha fatto causa perché sperava che
mio padre le lasciasse una parte del patrimonio. Era la
sua amante.
Non si lasci scappar di bocca nessuna offesa, perché
potrebbe darsi che Giulia le desse querela anche per
quello che dice di lei.
L ho detto soltanto a voi, ora!
Chiocciolino si fermò nel mezzo della strada:
E se venisse a risaperlo?
Remigio ebbe paura, e gli rispose:
Ma voi non andrete a dirlo a lei!
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Dunque, facciamo le cose in buona amicizia! Lo ve-
de che, se io volessi, potrei farle male anche dell altro?
Andate a parlare con il Neretti: se lui accetta, qua-
lunque cosa dica, io ne sono contento.
Se devo andare dal suo avvocato, vado piuttosto dal
mio!
E lo lasciò. Ma rifece la strada, lo riprese sotto il brac-
cio e gli disse:
O lei voglia o no, io e lei è destinato che doventiamo
amici.
Remigio non capiva; e, ricordandosi ch egli era mezzo
epilettico, avrebbe voluto fare a meno di quella conver-
sazione. Inoltre, non poteva perdonargli d aver fatto da
testimonio; e, per quanto non sapesse spiegarsi com egli
potesse aver saputo da suo padre certe cose degli inte-
ressi, non poteva rassegnarsi a credere che il sensale di-
cesse la verità. Inoltre, Remigio, timido e inesperto, non
si credeva in diritto d indagare, con qualche mezzo,
quanto fosse sincero; e aveva anche paura di dire qual-
che cosa che poteva magari comprometterlo. Allora ta-
ceva, tutto mortificato. A quelle parole, aveva guardato,
sorpreso, il sensale. Ma questi, quasi pigliando gusto a
parlare, seguitò:
Il mio scopo di fare amicizia con lei è questo: con
suo padre, gli ultimi mesi della sua vita, siamo stati un
poco freddi e forse lui mi odiava. E anch io l ho odiato.
Ora sarebbe bene che io e lei, invece, fossimo amici, con
lo scopo di mettere un pietrone su le cose passate; per-
ché avrei piacere di non odiarlo più da morto.
Chiocciolino era capace di fare questi cambiamenti,
come sarebbe stato capace, dopo qualche settimana o
meno, di tornare da capo a volergli male. Remigio senti-
va che non poteva fidarsi, ma non volle più essere sgar-
bato; e gli disse, benché con rincrescimento:
Io non ho niente contro di voi.
Ma riprese arrossendo Chiocciolino, dopo aver
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capito che ormai Remigio era sempre meno ostinato
bisogna che lei mi paghi quei due maiali. Se non può, mi
faccia una cambiale. Io sono disposto ad accettarla: vede
che non sono esigente. Se, poi, mi costringe a far la cau-
sa, come vuole a tutti i costi l avvocato Sforzi, io, allora,
non so più quel che dirle per il suo bene. Ne trovi un al-
tro, che le parli con più amicizia di me! Chiocciolino lo
sanno tutti chi è. Meno qualche scatto, quando mi piglia
caldo alla testa, e allora il responsabile non sono io, ho
sempre saputo farmi rispettare da tutti.
E lo strinse, sbottonandogli la giubba e dicendogli
con un sorriso:
Se ce l ha, nel portafogli, me le dia subito queste du-
gento lire! Me ne dia, per ora, cento sole! Io le farò una
ricevuta d acconto. E, allora, sono contento anche se a
darmi il rimanente aspetta una settimana di più: quando
avrà venduto il fieno.
Remigio distaccò le mani dalla giubba e gli disse:
Mi dispiace, ma non ce le ho.
Vengo a prenderle fino alla Casuccia. Non vorrei
impolverarmi le scarpe per così poco, ma lo fo per genti-
lezza; perché lei non debba venirmi a cercare.
Non ce l ho né meno a casa.
Come! Non ha a casa dugento lire? Ha già finito
quelle che prese con la cambiale al Banco di Roma?
Chi ve l ha detto della cambiale?
Non mi ricordo chi me lo disse.
Lo sanno anche altre persone?
Diamine! Che male c è? I debiti e le cambiali fanno
presto, come dice il proverbio, ad avere le ali.
E si mise a ridere, ma a Remigio dispiaceva parecchio;
e non voleva ammettere che gli altri, quella cerchia di
mercanti e di sensali, potesse subito essere informata del
suo portafoglio.
Senta: sia allegro! Diamine! Perché se la prende?
Lei è giovane, e con un poco di giudizio può darsi che
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non sia costretto a vendere la Casuccia anche se dovesse
metterci sopra una ipoteca; lei, in vecchiaia, la toglierà.
Fossi io giovane come lei! Vorrei far diventare la Casuc-
cia più bella d un giardino! Lei, se avesse i soldi, do-
vrebbe mettere altri filari di viti giù per la poggiata che
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